TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN SAGGIO BREVE O DI UN ARTICOLO DI GIORNALE - 1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Le figure di Renzo e Lucia quali personaggi centrali del romanzo I promessi sposi.
Esimi professori giudicanti, vorrei -qualora me lo consentiste- deviare un po' dal canonico corso precalcolato delle solite monotone tracce dei temi della Maturità (pardon, dell'Esame di Stato). Questo non già per mancare di rispetto a voi, alla commissione che ha selezionato le tracce o al romanzo e al suo defunto autore. Non si tratta di questo, no, quanto del fatto che la traccia è erronea. Mi si chiede di analizzare i personaggi di Renzo e Lucia quali figure centrali del testo: non è così. L'intero libro I promessi sposi è in realtà un'allegoria sulla sfiga che prende le mosse dalla natura sadica del suo autore, e unico e reale fulcro del romanzo è la figura di Don Rodrigo, anticipatrice di tutti i bersagli della malasorte nei secoli a venire, da Paolino Paperino al Nordberg di Police Squad.
La questione nasce così. Lucia Mondella -il personaggio di gran lunga più insopportabile del romanzo... ma non divaghiamo- viene abbordata dal signorotto locale Don Rodrigo, che si è invaghito di lei.
Quanto può resistere una fanciulla fragile e timorata di Dio di fronte alle profferte, nemmeno troppo pressanti, di un potente abituato ad avere tutto quello che vuole? Rodrigo avvicina la sventurata già traquillo della sicura conquista, e invece no! La Mondella glissa e si eclissa, e lo spettatore Attilio irride il cugino che in cuor suo sicuramente mastica un po' amaro e pronuncia il fatidico "Scommettiamo?". E' sicuro, l'ispanico, di far sua Lucia in breve tempo. E invece questa persiste a difendersi, e a negarsi con una fermezza insospettabile.
Rodrigo di incaponisce, vuole assolutamente quel bel giocattolo e ormai la posta in gioco si è alzata: ne va del rispetto che parenti e amici povano verso di lui. Manda così i bravi a bloccare il matrimonio; è un segnale indiretto a Lucia per farle capire che è meglio non tirare troppo la corda. La Mondella abbocca? Neanche per idea, dice tutto alla mamma (e non metaforicamente), a LorenzoocomedicevantuttiRenzo e infine a Fra' Cristoforo da ***. Il religioso dal sanguinoso passato va allora a minacciare Rodrigo: è un segnale indiretto a Rodrigo (da Lucia) per fargli capire che è meglio non tirare troppo la corda. La storia si ciclizza, come si vede.
La lusinga non ha funzionato, l'insistenza non ha funzionato, la minaccia non ha funzionato, l'iberico comincia ad averne abbastanza della prospettiva di farsi le seghe ad libitum (la commissione d'esame mi scusi il linguaggio, ma va a favore del realismo) e manda a rapire la contadina.
All'inizio del diciassettesimo secolo si immagina che le giovani di basso ceto sociale la sera stiano a casa loro, che non c'è proprio un cazzo di motivo per andar fuori a divertirsi. Al massimo rientreranno per le nove di sera (al cambio attuale, dico). Rodrigo sguinzaglia i cani, pardon, i bravi al recupero della bamboccia. Questi arrivano alla casa di lei e non trovano nessuno (perchè i piccioncini stanno facendo la loro gabola da Don Abbondio)! Quante sere avrà passato fuori casa Lucia Mondella in vita sua? Quattro? Cinque? Beh, Don Rodrigo ha azzeccato una di quelle (lo so, lui stesso ha facilitato la cosa, ma resta una cosa notevole). Non solo, i promessi sposi sgamano la furbata e levano le tende.
Il signorotto arriva probabilmente al calor bianco: il risultato è 4 a 0 per Lucia. Apprende però che la contadina si è rifugiata in un convento a Monza e non intende cedere, anche se arrivare fin là è una faccenda complicata: fuori dalla sua giurisdizione e in un luogo poco penetrabile, come organizzerà il nuovo ratto?
Qui Manzoni si supera. Di organizzare il nuovo recupero viene incaricato l'Innominato, bella figura di tiranno così malvagio che al suo confronto Stalin sembra Madre Teresa di Calcutta (mi perdonino i signori esaminatori della commissione queste banali similitudini, ma è fatto solo per rafforzare le caratteristiche del personaggio). Tutto ci si può aspettare da questo tizio, tranne ciò che effettivamente accade: con tempismo assolutamente perfetto l'Innominato rinnega il male e si converte alla bontà in modo così repentino e completo da far sorgere dubbi riguardo un abuso di stupefacenti. Apro un inciso: critici e commentatori manzoniani hanno prodotto un mucchio di letteratura sulla funzione di Lucia sul ravvedimento dell'Innominato; ora, avendo letto il libro, in questa sede d'esame vorrei dissentire, esimi professori, su questo punto, e dichiaro solennemente che il ruolo
Ma torniamo a Don Rodrigo, su cui la sorte si è abbattuta in modo così pesante da far pensare alla trama di un film demenziale. Siamo verso la fine del libro, e nessuno degli stratagemmi escogitati dal signorotto, sulla carta infallibili, ha funzionato. Attilio è morto, il territorio è in subbuglio per via della peste e forse ci sono cose più importanti a cui pensare che non a Lucia. Ma mancava giusto l'epilogo: basta una -tutto sommato breve- gita a Milano perchè Don Rodrigo si becchi la peste. E deve pure agonizzare per giorni, a differenza del Griso che muore nel giro di qualche ora. Fine ingloriosa ma tutto sommato prevedibile per uno squallido feudatario che fini per sua disgrazia nelle mani dell'autore sbagliato.
Con la morte del soggetto termina la mia disamina del personaggio, con cui spero di aver chiarito la mia tesi oltre ogni dubbio, e termina anche questo tema. Il quale, esimi professori, se non v'è dispiaciuto affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritto. Ma se in vece fossi riuscito ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.
semplicemente geniale
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