domenica 30 dicembre 2012

Sügisball (Veiko Õunpuu, 2007)

Sügisball (Ballo d'autunno) è un film estone del 2007, girato da Veiko Õunpuu, apparentemente uno dei più interessanti registi estoni contemporanei. Ha partecipato al Festival di Venezia dove ha vinto il premio Orizzonti.




Film lunghetto -sfiora le due ore- e piuttosto lento, ispirato ad un libro di Mati Unt (purtroppo inedito in Italia, pare) incentrato sul tema (originalissssssssssimo) della solitudine e dell'incapacità di comunicare dell'uomo moderno; cinque storie di ordinaria frustrazione che a tratti si incrociano brevemente. Mati (Rain Tolk, il sosia baltico di Massimo Coppola) è uno scrittore lasciato dalla sua ragazza che non riesce ad accettare la cosa; Theo (Taavi Eelmaa) è un portiere d'albergo sessuomane insoddisfatto della sua vita e del suo lavoro; Kaski (Sulevi Peltola) è un barbiere finlandese che non si sente accettato dall'Estonia; Laura (Maarja Jakobson) fa l'operaia, è madre di una bambina ed è separata da un marito ubriacone che la perseguita; l'architetto Maurer (Juhan Ulfsak) e sua moglie Ulvi (Tiina Tauraite) attraversano una crisi esistenziale e matrimoniale. Sullo sfondo, una Tallinn livida e lugubre, una periferia di fabbricati ereditati dall'URSS1. Personaggi tristi e silenziosi che fanno cose strane: Mati pedina la sua ex (la bella Mirtel Pohla) e si ubriaca, Maurer insulta senza motivo sua moglie, Theo scopa con tutte e forse non sa perché, Laura si droga di telenovelas, sua figlia neanche decenne sta sul balcone a prendersi gelida pioggia, Kaski si comporta da perfetto pedofilo senza neanche accorgersene. Sügisball non vuole essere tragico o depressivo, quanto piuttosto opprimente e disilluso; sprazzi di ironia alleggeriscono qua e là la tensione (a volte un po' gratuitamente, come nel caso di Mati alle prese con un numero da avanspettacolo mentre acquista una rivista porno). Saranno le ultime parole di Mati a chiarire -se mai ce ne fosse il bisogno- ciò che la pellicola vuole essere: un ulteriore, ennesimo tassello nel mosaico sterminato delle opere che provano ad indagare sul senso della vita.

Come il vaso di Pandora, dopo tanto soffrire il film si chiude con piccole note di speranza. Riservata, però, non a tutti.

In sintesi un film più che discreto. Bella la fotografia, incentrata sulla grigia periferia di una metropoli del lontano nord (molti accenni ad una architettura quasi à la 19842), interessante la colonna sonora con anche un paio di bei recuperi dalla discografia estone e soprattutto la presenza in tre occasioni di frammenti della superba Moya dei Godspeed you! Black Emperor3 (e questo sarebbe già un buon motivo per incensare questo film).

Al di fuori dell'Estonia Sügisball ha avuto purtroppo scarsissima diffusone e non esiste un adattamento in italiano (o almeno io non l'ho trovato).


questo film è dedicato a tutti gli uomini con l'animo gentile e il fegato debole
che stanno soli nella notte,
in mutande.


[1] forse vale la pena di ricordare che i popoli baltici sono quelli che più malvolentieri hanno sofferto la dominazione sovietica.
[2] ma tutto il mondo è paese: impossibile non notare somiglianze dei palazzi con la Buenos Aires di Garage Olimpo, ad esempio, e in certe scene solo la presenza del colore attenua la somiglianza con la Palermo di Cinico TV.
[3] anche se nei titoli di coda viene erroneamente indicata come Static (che è invece tutt'altro pezzo, sebbene sempre dei GY!BE).

sabato 8 dicembre 2012

Sul ruolo dell'antagonista nella letteratura classica

Esami di stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di II grado
TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN SAGGIO BREVE O DI UN ARTICOLO DI GIORNALE - 1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Le figure di Renzo e Lucia quali personaggi centrali del romanzo I promessi sposi.



Esimi professori giudicanti, vorrei -qualora me lo consentiste- deviare un po' dal canonico corso precalcolato delle solite monotone tracce dei temi della Maturità (pardon, dell'Esame di Stato). Questo non già per mancare di rispetto a voi, alla commissione che ha selezionato le tracce o al romanzo e al suo defunto autore. Non si tratta di questo, no, quanto del fatto che la traccia è erronea. Mi si chiede di analizzare i personaggi di Renzo e Lucia quali figure centrali del testo: non è così. L'intero libro I promessi sposi è in realtà un'allegoria sulla sfiga che prende le mosse dalla natura sadica del suo autore, e unico e reale fulcro del romanzo è la figura di Don Rodrigo, anticipatrice di tutti i bersagli della malasorte nei secoli a venire, da Paolino Paperino al Nordberg di Police Squad.

La questione nasce così. Lucia Mondella -il personaggio di gran lunga più insopportabile del romanzo... ma non divaghiamo- viene abbordata dal signorotto locale Don Rodrigo, che si è invaghito di lei.
Quanto può resistere una fanciulla fragile e timorata di Dio di fronte alle profferte, nemmeno troppo pressanti, di un potente abituato ad avere tutto quello che vuole? Rodrigo avvicina la sventurata già traquillo della sicura conquista, e invece no! La Mondella glissa e si eclissa, e lo spettatore Attilio irride il cugino che in cuor suo sicuramente mastica un po' amaro e pronuncia il fatidico "Scommettiamo?". E' sicuro, l'ispanico, di far sua Lucia in breve tempo. E invece questa persiste a difendersi, e a negarsi con una fermezza insospettabile.
Rodrigo di incaponisce, vuole assolutamente quel bel giocattolo e ormai la posta in gioco si è alzata: ne va del rispetto che parenti e amici povano verso di lui. Manda così i bravi a bloccare il matrimonio; è un segnale indiretto a Lucia per farle capire che è meglio non tirare troppo la corda. La Mondella abbocca? Neanche per idea, dice tutto alla mamma (e non metaforicamente), a LorenzoocomedicevantuttiRenzo e infine a Fra' Cristoforo da ***. Il religioso dal sanguinoso passato va allora a minacciare Rodrigo:  è un segnale indiretto a Rodrigo (da Lucia) per fargli capire che è meglio non tirare troppo la corda. La storia si ciclizza, come si vede.
La lusinga non ha funzionato, l'insistenza non ha funzionato, la minaccia non ha funzionato, l'iberico comincia ad averne abbastanza della prospettiva di farsi le seghe ad libitum (la commissione d'esame mi scusi il linguaggio, ma va a favore del realismo) e manda a rapire la contadina.

All'inizio del diciassettesimo secolo si immagina che le giovani di basso ceto sociale la sera stiano a casa loro, che non c'è proprio un cazzo di motivo per andar fuori a divertirsi. Al massimo rientreranno per le nove di sera (al cambio attuale, dico). Rodrigo sguinzaglia i cani, pardon, i bravi al recupero della bamboccia. Questi arrivano alla casa di lei e non trovano nessuno (perchè i piccioncini stanno facendo la loro gabola da Don Abbondio)! Quante sere avrà passato fuori casa Lucia Mondella in vita sua? Quattro? Cinque? Beh, Don Rodrigo ha azzeccato una di quelle (lo so, lui stesso ha facilitato la cosa, ma resta una cosa notevole). Non solo, i promessi sposi sgamano la furbata e levano le tende.
Il signorotto arriva probabilmente al calor bianco: il risultato è 4 a 0 per Lucia. Apprende però che la contadina si è rifugiata in un convento a Monza e non intende cedere, anche se arrivare fin là è una faccenda complicata: fuori dalla sua giurisdizione e in un luogo poco penetrabile, come organizzerà il nuovo ratto?

Qui Manzoni si supera. Di organizzare il nuovo recupero viene incaricato l'Innominato, bella figura di tiranno così malvagio che al suo confronto Stalin sembra Madre Teresa di Calcutta (mi perdonino i signori esaminatori della commissione queste banali similitudini, ma è fatto solo per rafforzare le caratteristiche del personaggio). Tutto ci si può aspettare da questo tizio, tranne ciò che effettivamente accade: con tempismo assolutamente perfetto l'Innominato rinnega il male e si converte alla bontà in modo così repentino e completo da far sorgere dubbi riguardo un abuso di stupefacenti. Apro un inciso: critici e commentatori manzoniani hanno prodotto un mucchio di letteratura sulla funzione di Lucia sul ravvedimento dell'Innominato; ora, avendo letto il libro, in questa sede d'esame vorrei dissentire, esimi professori, su questo punto, e dichiaro solennemente che il ruolo della rompibal della Mondella nell'evento è meno che marginale.

Ma torniamo a Don Rodrigo, su cui la sorte si è abbattuta in modo così pesante da far pensare alla trama di un film demenziale. Siamo verso la fine del libro, e nessuno degli stratagemmi escogitati dal signorotto, sulla carta infallibili, ha funzionato. Attilio è morto, il territorio è in subbuglio per via della peste e forse ci sono cose più importanti a cui pensare che non a Lucia. Ma mancava giusto l'epilogo: basta una -tutto sommato breve- gita a Milano perchè Don Rodrigo si becchi la peste. E deve pure agonizzare per giorni, a differenza del Griso che muore nel giro di qualche ora. Fine ingloriosa ma tutto sommato prevedibile per uno squallido feudatario che fini per sua disgrazia nelle mani dell'autore sbagliato.

Con la morte del soggetto termina la mia disamina del personaggio, con cui spero di aver chiarito la mia tesi oltre ogni dubbio, e termina anche questo tema. Il quale, esimi professori, se non v'è dispiaciuto affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritto. Ma se in vece fossi riuscito ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.

sabato 1 dicembre 2012

Della distanza delle fiction italofone da quelle anglofone

(Premesse minime:  1) testo mio, ma riportato qui da altro loco; 2) non sono per nulla sostenitore, come potrebbe sembrare, di ideologie aprioristicamente anti- o pro- Italia)


Questa ve la devo raccontare. Ennesimo capitolo che conferma l'abissale distanza tra le fiction italiche e quelle anglofone.
Giovedì sera è terminata Un passo dal cielo 2, serie particolarmente triste prodotta dalla Rai incentrata soprattutto su Terence Hill che fa la guardia forestale in Alto Adige.

Antefatto.
Non ho praticamente seguito la storia, ma bene o male le cose dovrebbero essere andate così: all'inizio della serie due coprotagonisti, un commissario di polizia e una veterinaria (la sempre notevole Gaia bermani Amaral, ndA), dovrebbero sposarsi, ma le cose vanno a rotoli perchè lei viene ricontattata da un suo ex, che fa il ricercatore/esploratore/avventuriero, per andare con lui in Alaska a studiare gli orsi. Lei accetta, litiga col commissario ed esce di scena. Torna nella penultima puntata (o giù di lì) perchè pare siano finiti i soldi per la missione, e si riavvicina al poliziotto; scopre però di essere incinta dell'ex. Col quale a questo punto deve chiarirsi. L'ex nel frattempo ha ottenuto nuovi fondi per tornare in Alaska e vorrebbe andarci ancora con lei, che però stavolta ovviamente non può e non vuole.

Fatto.
Giuro che il dialogo (che sarà durato tipo tre minuti) è riportato in modo praticamente testuale.
Veterinaria ed ex sul divano, lei le conferma che è incinta di lui. I toni sono rilassatissimi
Lui: "Sai come sono fatto. Mi ci vedi a girare il mondo con un bambino dietro?"
Lei: "(ridacchiando) No, in effetti no. (più seriamente) Io il bambino comunque lo voglio tenere. Ma tu vai pure in Alaska, fai le tue cose, ci penso io a crescerlo"
Lui: "Va bene. Vado ad avvertire i finanziatori che stavolta parto da solo". E se ne va.


Sono quasi caduto dalla sedia. Credo che neanche Ionesco avrebbe saputo tirare fuori una roba così surreale; il bimbo diventa allegramente una palla al piede per lui e lei non fa una grinza ed è tutta contenta di allontanare il padre di suo figlio. Ok, l'ex deve uscire di scena per chiare esigenze di copione, ma si poteva farlo morire in un dirupo, o scappare nottetempo senza dir niente a nessuno (magari lasciando a lei un biglietto tipo "non mi sento pronto a fare il padre"). Invece è diventato il quadretto più patetico che si sia mai visto.

Sceneggiatura nostrana, serious business


(Strano anche che la Rai filopontificia abbia prodotto ed approvato una tale ridicolizzazione della sacralitàdellafamiglia. Ok che Un passo dal cielo formalmente non è una serie bigotta, ma dato che il protagonista è Terence Hill -che dopo un decennio di Don Matteo ha fidelizzato un pubblico tutt'altro che secolarizzato- il target mi pare quantomeno rischioso...)