Scrissi il mio primo
racconto in quarta elementare. Avevo quindi circa 10 anni ed era
suppergiù il 1991. Un manoscritto compilato su un quaderno a righe,
con la mia pessima calligrafia che avrebbe reso il testo perlopiù
indecifrabile ai meno allenati. Era un racconto breve e brutto
sospeso tra fantasy e fantascienza, in cui uno scienziato vedeva la
propria ombra prendere vita ed andarsene per i fatti propri fino ad
una resa dei conti finale. Ho dimenticato i dettagli, ricordo in
compenso che la copertina del quaderno aveva uno spesso bordo rosso
con brevi righe verticali nere; nel centro c'era la foto di
un'astronauta, ma su questo sono meno sicuro. Vai a capire la
memoria.
Mi sarebbe piaciuto
guadagnarmi da vivere come scrittore. Una delle pochissime cose di
cui mi possa vantare è di aver avuto sempre buoni voti nei temi
scolastici, dalle elementari alle superiori, anche quando gli
istruttori non mi avevano in simpatia o quando erano molto in gamba e
quindi molto esigenti. Il progetto di guadagnare affiancando lettere
non si è mai avverato per molti e buoni motivi. Amen.
Dopo il racconto
dell'ombra scrissi sicuramente altre cose, ma non le ricordo. L'atto
meccanico dello scrivere era una pena. Non ho mai amato fare
l'amanuense, oltretutto ho sempre avuto una calligrafia scandalosa
che scoraggiava me per primo quando vedevo le mie idee trasposte su
carta. Non avevo un computer, tabù imposto da mio padre. Costretto
da mia sorella, iscrittasi all'università, nel 1996 fu però obbligato a cedere alla modernità di una macchina da scrivere.
Che usai quasi
esclusivamente io. Producendo tonnellate di immondizia scaturita
dall'improvvisa libertà di movimento che mi ritrovavo ad avere.
Alberi innocenti tramutati in fogli costretti ad ospitare degradanti
contenuti oscenamente derivativi rispetto al mio grande amore
letterario dell'adolescenza, Stefano Benni. Quando andava bene.
Quando andava male, prosopopee surreali talora degne di un Marinetti
fluivano copiose. Nei cinque anni di attività la povera Olivetti
dovette martellare scempiaggini che una parte di me vorrebbe oggi
ripudiare. Fu un bel periodo, come potrei negarlo?
Qualcosa di quel
materiale andò perso, ma non ho mai avuto cuore di separarmi
definitivamente delle cose peggiori. Sacrificai alla causa un
raccoglitore nero e svariate carpette innocenti, apponendo un titolo
che un ventenne scimunito poteva pure trovare simpatico, scritto a
mano con pennarello nero su un nastro isolante bianco trafugato dal
magazzino del padre (ben gli sta). Il tutto riposto in un comodino
lontano da sguardi indiscreti, compresi i miei.
Oggi è rispuntato
dall'Ade. Chi se lo ricordava più?.
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