In Europa c'è l'Inghilterra. In Inghilterra c'è Londra. A Londra c'è una "piccola" località (pari ad un trentatreesimo di Londra, ed estesa poco meno del doppio della mia non certo immensa Manerba) che si chiama Greenwich.
Greenwich è famosa perchè ci passa il meridiano zero, ed è l'origine del Tempo Terrestre. Greenwich è al centro di uno spicchio di Terra che si estende uniformemente al suo est e al suo ovest per sette gradi e mezzo in ciascuna direzione. Gradi, non chilometri: più si scende verso l'equatore più lo spicchio si allarga. I metri cambiano, ma i gradi no.
Questo spicchio di pianeta contiene il GMT, il tempo di Greenwich, il Tempo Zero; sull'equatore cade in mare, da qualche parte ad ovest di São Tomè: è qui che (nominalmente) la GMT ha la massima estensione destra-sinistra. La minima estensione è invece ai poli: 0 metri. Qui lo spicchio di GMT e il suo meridiano centrale nascono e muoiono. Se nascano a nord e muoiano a sud o viceversa, decidetelo voi.
Al di là di questo spazio di quindici gradi cominciano il passato e il futuro.
Il meridiano zero ha un dopplegänger. Un gemello cattivo che nasce e muore negli stessi luoghi, ma che passa esattamente sull'altra faccia del mondo. Il meridiano centoottanta taglia a metà lo spicchio del ventiquattresimo fuso orario, distribuendo il futuro alla sua destra e il passato alla sua sinistra: dodici ore avanti o dodici ore indietro rispetto all'ora della perfida Albione. Il centoottantesimo meridiano è la Linea del Cambiamento di Data. A Greenwich il tempo nasce. Sul suo gemello muore.
A onor del vero, la LCD e il 180° meridiano non coincidono perfettamente. Come per tutti i fusi orari le geografie politiche e fisiche hanno fato sentire il loro peso. Se una notte d'autunno un viaggiatore scendesse dal Polo Nord lungo l'antipodo del meridiano zero, camminando su profonde lastre di ghiaccio, calpesterebbe a un dato momento un brandello di terra della grande madre Russia. Si tratterebbe di un'isola, Wrangel, scoperta ufficialmente da statunitensi nel 1867 e raggiunta per la prima volta nel 1881 (in una spedizione di cui faceva parte il naturalista John Muir, videoludicamente eternato in Sam & Max hit the road). Wrangel è abitata da orsi, lemmings e uccelli; su di essa c'è una città, Ušakovskoe, la cui popolazione è composta dagli stessi animali di cui sopra. Pare che nessun pazzo voglia viverci, dopotutto. Nonostante ciò, la Linea la scansa piegando verso est, -che sarebbe poi l'estremo occidente del pianeta, a ben vedere- fino ad un punto in cui evita anche la terra dei čukči, quella che anni di Risiko ci hanno più o meno erroneamente educato a chiamare Kamchatka. Tutti amiamo la Kamchatka, e non vorremmo mai che vivesse un intero giorno indietro rispetto agli altri figli di Stalin.
Il viaggiatore d'autunno passerebbe quindi nello stretto di Bering, in mezzo a un arcipelago che -se me lo consentite- mi piacerebbe chiamare oligopelago. Sono infatti due sole isolette, le Diomede, che sono separate da distanze siderali ben superiori a quelle rappresentate dai soli tre chilometri di Pacifico in mezzo a loro. La Diomede più grande fu sovietica, ed ora è russa, ed era un luogo di confino per militari. Come la Siberia. Oggi è dichiarata disabitata (ma Giorgio Fornoni c'è stato e dice che ci sono ancora dei disperati). La Diomede più piccola è statunitense, appartiene all'Alaska, e ci abitano un centinaio e mezzo di anime. L'arcipelago è stato quindi il punto di maggior vicinanza tra le due superpotenze ai tempi della guerra fredda, con le due isole tanto vicine da potersi vedere. La LCD passa in mezzo a loro e se il nostro ipotetico viaggiatore si gettasse dalla piccola Inaliq per farsi una nuotata fino alla grande Imaqliq scoprirebbe di essere arrivato 21 ore prima di partire. Certo, se non fosse morto assiderato nel frattempo.
Dopo Diomede la LCD torna sui suoi passi per evitare St. Lawrence e addirittura sorpassa il centoottantesimo per schivare le Aleutine più occidentali, poi torna sul meridiano. L'acqua si scalda, il viaggiatore lascia le Hawaii alla sua sinistra, le Marshall alla sua destra e procede verso l'Oceania. Che è un continente fatto d'acqua marina e poco altro, dove la terra e la roccia risaltano come punti neri sulla superficie del viso del Pacifico australe. Qui tra le isole c'è solo il nulla liquido e salato, e per la Linea si approssima il problema Kiribati.
Kiribati (che si pronuncia Kiribas, se proprio volete) è, geograficamente, la nazione più surreale del mondo. Composta da 35 atolli e un'isola divisi in tre arcipelaghi, ha meno abitanti (gilbertesi) di un qualsiasi grosso comune italiano e una superficie totale pari a un quattrocentesimo di quella italiana (ed appena 12 volte superiore a quella di San Marino). Ciononostante è dispersa su un'area talmente vasta che le isole più occidentali distano quasi 3500 chilometri da quelle più orientali. E' circa il doppio dello sviluppo latitudinale dell'Italia (Sicilia compresa). Se, tenendo gli occhi chiusi, provate a puntare uno spillo su una cartina di Kiribati, avete ben poca speranza di non pungere acqua. Anche perchè, essendo tutte atolli tranne una, un'isola gilbertese è praticamente sempre una pozza d'acqua salata con un po' di sabbia attorno.
Kiribati "contiene" il punto d'incontro dell'equatore e del meridiano 180. Parte delle isole è quindi nell'emisfero nord, parte nell'emisfero sud. Altrettanto, le stesse isole sono in parte nell'occidente e in parte nell'oriente. La LCD taglierebbe Kiribati in due, e per molto tempo l'ha effettivamente fatto. Ma se russi e statunitensi possono spostare la Linea, i gilbertesi pure, per quanto piccoli (così piccoli che ad esempio a nessuno importa se sono fra i (pochi) governi che riconoscono Taiwan e non la Cina), possono farlo a piacer loro. L'hanno quindi fatto. Il nostro viaggiator d'autunno -che durante l'attraversamento di Kiribas diventa primavera, sapete come funziona- passa quindi su acqua gilbertese ed approda su uno degli undici atolli delle Sporadi equatoriali, l'isola Caroline.
L'isola Caroline è un posto strano. Se la Linea fosse un muro, guardando a est si vedrebbe questo muro, che separa oggi da ieri (e lo si vedrebbe, stante la strana forma della linea in questi luoghi, anche guardando verso sud e verso nord). Caroline è l'estremo lembo del Tempo futuro sulla terra. Il centoottantesimo meridiano è incalcolabilmente lontano nel suo occidente, tredici volte la distanza che la separa dalla Linea e dal giorno prima. L'oriente di Caroline non contiene solo acqua (e, a distanze quasi siderali, le isole Marchesi e poi il Perù) ma anche e soprattutto il nuovo giorno che arriva. Una visione abbacinante. Il fuso orario qua è -per un bislacco gioco cronometrico- di 14 ore avanti sull'ormai dimenticato Greenwich. Howard e Baker, due minuscoli atolli statunitensi molto più a nord e molto più a ovest che sono gli unici punti al mondo con un fuso di -12 (e quindi più sepolti nel passato), hanno ventisei ore di ritardo su Caroline e le altre Sporadi. Quando per Caroline la domenica è finita, per Howard deve ancora cominciare. Tale è la bizzarra magia di Kiribati.
Dopo le Sporadi la Linea torna verso ovest (che in realtà sarebbe l'est), poi riprende a scendere. La remota Polinesia sfila qua e là: Tuvalu, Tonga e Samoa, e isolette francesi che forse oltralpe hanno anche dimenticato di possedere. Passando a rispettosa distanza dalla Nuova Zelanda, la Linea e il viaggiatore di mezza stagione si ricongiungono all'antimeridiano di Greenwich a sud dell'isola Chatam per non più lasciarlo. Ormai è tornato a far freddo. La Linea si addentra nel mare Antartico, "sfiora" l'isola Scott e penetra nel mare di Ross.
Infine il viaggiatore sbarca sull'Antartide, dove finalmente la Linea poggia su terra solida. Potrebbe divertirsi a camminare lasciando impronte nella neve a destra e sinistra del meridiano, orme impresse simultaneamente in due giorni diversi. Se ne avesse le forze potrebbe farlo per circa 800 chilometri, fino a quel particolare punto in cui la Linea si interrompe e i due gemelli Zero e Centoottanta si incontrano per morire, e nascere, e trasformarsi.
E' il Polo Sud. E qui il tempo scompare. Perchè ai ghiacci nulla importa.
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