mercoledì 8 agosto 2012

Idaho Transfer, 1973

Girato e rilasciato nel 1973, e dimenticato quasi universalmente già nel 1974, Idaho Transfer è il secondo lavoro (di tre) di Peter Fonda come regista. E di gran lunga il più sfortunato. E' quasi sorprendente come, sepolto nel passato di un uomo di cinema di buona fama (membro dell'onorata famiglia Fonda! e all'epoca reduce da pochissimo dal successo di Easy Rider), ci sia un oggetto così strano e obliato. Eppure.

I.T., noto anche come Deranged nel Regno Unito (probabilmente si provò a farlo passare per un horror) e mai distribuito in Italia, è un film di fantascienza low-budget la cui genesi affonda nei sentimenti pro-ambientalistici di Fonda. La compagnia che doveva occuparsi della distribuzione fallì dopo una settimana di programmazione del film nelle sale, il che tagliò di netto le gambe alle sorti della pellicola. Solo 15 anni dopo, nel 1988, si ebbe quantomeno una pubblicazione su VHS; la sorte non fu molto migliore. Da allora la fama di I.T. vivacchia a stento solo fra pochi appassionati di SF.

Qual è la trama? Allora: in una struttura -finanziata dal governo e presumibilmente top-secret- nell'Idaho meridionale un gruppo di ricercatori, tra cui svariati giovanissimi (tutti under 20), inventa un sistema che permette il teletrasporto di persone tra due macchinari gemelli, uno posto nella struttura e l'altro in una zona all'aperto sempre nell'Idaho del sud. Si accorgeranno ben presto di un interessante side-effect non preventivato: lo spostamento è anche temporale, di 56 anni nel futuro (l'arrivo sarebbe quindi nel 2029). I viaggiatori (che sono tutti giovani perchè -altro side-effect- chi ha più di 20 anni muore poco dopo il viaggio per un'inspiegabile emoraggia renale) fronteggiano così un mondo futuro spopolato e triste, evidentemente modificato da qualche catastrofe imprecisata avvenuta in un momento sconosciuto durante quegli 11 lustri che li separano dalla data di partenza. Nel tentativo di capire cosa sia successo gli scienziati cominciano a raccogliere dati e a studiarli nel presente (perchè il viaggio è possibile anche nell'altro senso).
Tutta questa è in realtà una premessa: di questi fatti non si vede nulla o quasi, ma sono esplicitati nelle prime fasi del film, perlopiù durante un dialogo tra due protagoniste. La storia vera e propria si concentra sulla sedicenne Karen Braden e una dozzina di altri studiosi, di poco più anziani, che si trasferiscono in pianta stabile nel 2029 dopo la decisione improvvisa del governo di chiudere il progetto. Nel desolato pianeta futuro, il manipolo di transfughi si dedica a fare le uniche due cose possibili, ovvero tentare di sopravvivere e cercare superstiti. La vicenda poi prende una brutta piega, ma ne parlerò più avanti.
Grossomodo la storia si può dividere in tre parti:
1. Spiegazione di chi sono e che fanno questi tizi. A svelare tutto è soprattuto Isa, primo personaggio ad apparire sullo schermo, che arruola la sorellina Karen, figura centrale della pellicola, che non vede da lungo tempo. Isa istrusce Karen sul significato e lo scopo della missione, ed è durante i loro dialoghi che scopriamo i principali retroscena dell'esperimento. Questa prima parte termina con la decisione del governo di chiudere tutto e spegnere il macchinario, e con la conseguente fuga nel futuro dei giovani studiosi.
2. La sopravvivenza dei ventenni nel lontano futuro e la loro ricerca di superstiti. E' la parte più lunga e statica del film; la location è il Craters of the Moon National Monument and Preserve, nell'Idaho del sud, e le ambientazioni sono assai suggestive; ma nella monotonia dell'arido paesaggio -seppur affascinante- riecheggia quella delle fasi di esplorazione in cui è bassissima la densità degli accadimenti. Solo una sopravvissuta viene trovata, regredita ad uno stato di idiozia.
3. Si torna a vedere qualcosa nell'ultima parte, che comincia quando Karen decide di lasciare il gruppo di esploratori e di tornare al campo base, dove era rimasto un piccolo manipolo di tre colleghi tra i quali quello di cui è innamorata. Qui viene aggredita da una delle compagne, che è misteriosamente impazzita, ha ucciso gli altri due compagni ed ora è pronta a fare lo stesso con lei. Karen si salva miracolosamente calandosi nel pozzo dove è custodita la macchina del tempo. Questa, in teoria ormai inutile perchè spenta nel presente, è stranamente accesa; Karen, che non ha altre vie d'uscita, entra nel macchinario e torna nel '73. Qui terrorizza un tecnico che stava lavorando (e non viene spiegato perchè) sul marchingegno e la vede apparire dal nulla, poi smanaccia i controlli -dei quali non conosce presumibilmente nulla- per cercare di tornare in un punto del tempo precedente al disastro nel campo base (potendo quindi salvare il suo amore); infine riparte per il futuro dove... ve lo dirò dopo.

Idaho Transfer è strano; gli statunitensi direbbero probabilmente weird. E lo è su più livelli.
Già il cast rappresenta un bell'enigma. E' decisamente piccolo (25 nomi in tutto, mi pare) e composto quasi totalmente, come si è visto, da teenager che devono cercare di passare per studiosi: tra i pochi attori adulti solo uno (il recentemente scomparso Ted D'Arms, qui al debutto) ha un ruolo non troppo marginale, quello di capo del progetto e padre di Karen e Isa Braden. Spicca poi il fatto che oltre a D'Arms solo altri quattro attori abbiano qualche altro titolo nel curriculum: tutti gli altri non si erano mai visti prima e non si vedranno mai più in futuro. Di questi quattro, tre hanno preso parte solo a un altro film oltre I.T. La carriera più dignitosa l'ha avuta uno degli adolescenti, che altri non è che l'allora sconosciuto Keith Carradine, dell'onorata famiglia Carradine (e nella fattispecie fratellastro di David, il Bill di Kill Bill).
Il perchè il film si regga quasi completamente sulle spalle di giovanissimi dilettanti è probabilmente spiegabile con il tentativo di mantenere bassi i costi, ma possibile che Fonda dovesse tenere d'occhio il portafoglio? Mah. Fatto sta che le bizzarrie proseguono.

Le scenografie sono peculiari. Gli esterni, come detto, sono girati nel sud dell'Idaho che è di una bellezza e di una monotonia sconvolgenti: terreno roccioso quasi lunare (soprattutto nella zona del campo base) e sterminate praterie praticamente piatte e vuote. Nella parte centrale del film si contano la bellezza di UNA auto e UN treno (entrambi con un loro macabro segreto) oltre che UNA casa (o forse ricordo male e non c'è nemmeno quella). E questo su vari chilometri quadrati di terreno esplorato. Gli interni sono limitati a un paio di anonimi uffici e all'inquietante stanza che contiene la macchina del tempo, scenografia collocata probabilmente in qualche magazzino abbandonato nella periferia di Boise; la stanza (e i corridoi all'esterno) rendono comunque efficacemente una certa aria di desolazione, soprattutto alla luce della bassa qualità dell'audio e del video del film (a proposito dell'audio: scarso quantitativamente, ma con delle belle idee).

Il finale del film ha spaccato in due la platea: c'è chi lo trova geniale e chi (come me) terribile. Si tratta di spoilerare, ma credo di poter correre il rischio.
Avevamo lasciato Karen mentre tentava di tornare nel futuro. Effettivamente ci ritorna, ma al campo base non c'è traccia di vita. Comincia a girare un po' finchè non si accascia esausta lungo una strada. Dopo poco arriva un'automobile piuttosto futuristica e diventa ormai chiaro che Karen ha impostato il macchinario per mandarla ancora più avanti nel tempo. L'auto si ferma alla sua altezza, ne scende un uomo che la raccoglie e la chiude nel bagagliaio, per poi tornare al volante e ripartire. E si ode Karen prorompere in un urlo lancinante. Chiusura sull'interno dell'auto, dove l'uomo parla con una donna e una bambina di cose che non sono riuscito a capire ma che verterebbero su questioni ambientali.

Il finale è stato apprezzato da non molti, e io rientro nell'altro gruppo. I.T. non è un capolavoro, ma avrebbe senz'altro meritato maggior fortuna e un finale più degno di questo che pare attaccato con lo sputo (finiti i soldi, forse?). Non è chiara la sorte della povera Karen, ma la teoria con più consenso prevede che una ristretta elite di umani tecnologicamente avanzati usi i rari "selvaggi" come carburante per le proprie macchine. Il vero problema di questo finale è che l'atmosfera cozza contro tutto quello che il film ha costruito in precedenza. Guadagna qualche punto comunque per l'inquietantissimo "esto perpetua" (che è anche, ma non solo, il motto dell'Idaho) in fondo ai titoli di coda.

Idaho Transfer è un buon film, consigliabile a chiunque apprezzi le "weirdaggini" e non si lasci spaventare troppo dai film a basso ritmo. Per gli appassionati dei futuri con atmosfere postatomiche (più o meno) questo lavoro dovrebbe essere considerato un cult minore. Le ragazze sono molto carine, valide le scenografie e le musiche. Il recupero non è difficile, dovrebbe persino esserci intero su youtube. Opossum approved, buona visione.

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