lunedì 27 agosto 2012

Iersera, traguardi

Mi sono preparato la cena [quasi] da solo.

Si festeggi.

mercoledì 22 agosto 2012

Numero atomico 20

Suppongo e auspico che in futuro verranno tempi felici in cui una civiltà progredita condurrà studi archeologici e antropologici sui fossili delle nostre generazioni ed arriverà a stabilire con buona approssimazione quali sono le cause che hanno portato a inesprimibili livelli di delirio la pratica e l'osservazione di uno sport che in condizioni normali sarebbe stato tutto sommato incruento e gradevole.

domenica 19 agosto 2012

L'angolo del retrogaming bislacco e malsano: Geograph Seal

Un imprecisato giorno del 1997 andai a Desenzano del Garda a comprarmi una Playstation, obiettivo a cui miravo da tempo. Originariamente la mia intenzione era quella di abbinare l'acquisto a Tohshinden 2 (o come cappero si scrive); col passare del tempo l'idea divenne invece quella di prendere Tekken 2. Quel giorno del 1997 il negozio non aveva nè l'uno nè l'altro, e davanti alla prospettiva di dovermene restare a fissare il bios della console (che non potevo nemmeno usare per ascoltare i CD musicali, perchè non ne avevo nemmeno uno) finii col comprare, non ricordo come e perchè, Jumping Flash 2. Che non avevo mai sentito nominare. E che mi piacque assai.
JF2 è il seguito di un gioco di cui al momento non mi sovviene il nome. Entrambi sono stati prodotti da una softhouse giapponese poco nota in occidente chiamata Exact, che un giorno sarebbe stata assorbita dalla Sony; nei suoi anni da indipendente però ebbe modo di secernere qualche simpatico giocattolo per Sharp X68000 (mai usciti dal Giappone nè il computer nè tantomeno i giochi). Tra questi troviamo Geograph Seal, uscito nel 1994, da cui i JF si discosteranno ben poco.

Geograph Seal dunque. Allora, sostanzialmente GS prende le mosse da un oscuro prodotto a nome Gamma Planet, uscito sempre per X68k nel 1989 dalla altrettanto oscura software house Compac (almeno così parrebbe). Gamma Planet era una sorta di FPS ante-litteram con molti prestiti dal presitorico Battlezone della Atari (in primis la grafica vettoriale). Cinque anni dopo Exact riprende da GP quasi tutto, sostituisce vettori con poligoni, aumenta la velocità e tira fuori Geograph Seal.
In sostanza GS ci vede alla guida di un mech che deve aggirarsi per livelli irti di ostacoli e nemici allo scopo di distruggere una serie di target, abbattuti i quali si passera al boss, abbattuto il quale si passerà al livello successivo. La prospettiva è in prima persona e la grafica totalmente poligonale, senza uno straccio di texture (io amo questa cosa) e con qualche oggetto addirittura in wireframe, cosa che alla fine può rievocare il leggendario Starwing (o Star Fox, che dir si voglia) per SNES, uscito peraltro l'anno prima.
I livelli nei quali il nostro mech si aggira hanno una semplice pianta rettangolare delimitata da mura invisibili e non sono particolarmente grandi, ma i nemici sono numerosi, si rigenerano continuamente e possono arrivare da ogni direzione. Possono essere abbattuti usando una serie di armi, disponibili subito o droppate dai nemici eliminati; le armi hanno fondamentalmente proiettili infiniti, ma un aspetto piuttosto originale è che il loro utilizzo è subordinato ad una barra di energia che si svuota tanto più rapidamente quanto più rapidamente spariamo, e che si ricarica (non troppo velocemente) quando non stiamo sparando: ergo, tenere premuto perennemente il tasto di fuoco è una PESSIMA idea, i nostri cannoni devono "respirare". Quest'idea, in qualche modo già vista in R-type, viene direttamente da Gamma Planet e non sarà mantenuta nei Jumping Flash. Sarà un'altra peculiare caratteristica invece a proseguire in JS, quella del salto multiplo: ovvero, se il mach si trova in aria in seguito ad un salto può saltare di nuovo (per un massimo di due volte) per arrivare più in alto; dopo il secondo la visuale si abbassa automaticamente in modo da farci vedere il terreno e capire dove precipiteremo. Se finiremo su un nemico tanto meglio, si possono ammazzare anche a pestoni! Per difendersi dai colpi avversari possiamo nasconderci dietro i numerosi pilastri e colonne sparsi per il terreno; ogni colpo subito abbassa la resistenza del mech, indicata dalla barra "shield", e quando questa arriva a zero parte una vita. Dopo tre vite è game over.
Un secondo tipo di livelli (meno numerosi) ricalca molto da vicino il già citato Starwing. La visuale è sempre in prima persona ma non controlliamo il mezzo, che in questi stage vola per i fatti propri, bensì solo il mirino per abbattere i nemici che ci si parano davanti.
La meccanica di gioco di GS è parecchio confusionaria. Il ritmo è piuttosto elevato e la grafica di non facile lettura, anche perchè manca del tutto una mappa degna di questo nome e l'hud di gioco ha un radar limitatissimo. Purtroppo GS supporta solo joypad a due tasti, ergo: con uno si spara, con l'altro si salta, premendoli entrambi si attiva il menu o si alza/abbassa lo sguardo; in questi ultimi due casi, per decidere se aprire il menu o cambiare la visuale, il gioco valuta se, al momento della pressione dei tasti, era contemporaneamente premuto un tasto direzionale (quindi viene cambiata la visuale) o no (e allora si apre il menu). In fasi di gioco abbastanza concitate rendersi conto di queste combinazioni è tutto fuorchè pratico, anche perchè i tasti direzionali, servendo soprattutto a muovere il mech (ovviamente), sono premuti praticamente sempre, e la cosa finisce puntualmente per interferire con la doppia pressione dei tasti. Ahimè, è una falla di giocabilità piuttosto grave che mina un gioco interessantissimo. La cosa verrà risolta in JS sia perchè la Play di tasti ne ha una decina, sia perchè il gioco stesso ha ritmi assai più blandi.
Più o meno è tutto qua. Jumping Flash in occidente non ha ricevuto il successo che meritava, così dubito che Geograph Seal avrebbe potuto giocarsi le sue chance; ma si tratta comunque di un titolo pieno di buone idee e molto valido soprattutto tecnicamente (anche le musiche sono azzeccate). Scelte meno miopi sui controlli avrebbero potuto rendero infinitamente più giocabile e, in ultima analisi, divertente. Merita comunque un giro, così come i Jumping Flash e, se proprio siete curiosi, Gamma Planet.

venerdì 17 agosto 2012

между тем

Visualizzazioni nell'ultimo mese


Qualcuno ha per caso una vaga idea del perchè questo blog affascini i russi?

mercoledì 15 agosto 2012

Videogiocattoleria

Voglio un Raspberry Pi :(

lunedì 13 agosto 2012

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Micro-restyling grafico del bleurg: al posto della triste intestazione testuale campeggia ora una triste intestazione grafica che ha anche il pregio di essere piuttosto insensata.
L'affascinante e pixellosa signorina ivi ritratta è la principessa Mariko così come appare nella versione originale per AppleII di Karateka (1984), il "papà" di Prince of Persia (intendo la versione del 1989, che con Karateka conserva pesantissime somiglianze). L'autore è ovviamente Jordan Mechner.

mercoledì 8 agosto 2012

Idaho Transfer, 1973

Girato e rilasciato nel 1973, e dimenticato quasi universalmente già nel 1974, Idaho Transfer è il secondo lavoro (di tre) di Peter Fonda come regista. E di gran lunga il più sfortunato. E' quasi sorprendente come, sepolto nel passato di un uomo di cinema di buona fama (membro dell'onorata famiglia Fonda! e all'epoca reduce da pochissimo dal successo di Easy Rider), ci sia un oggetto così strano e obliato. Eppure.

I.T., noto anche come Deranged nel Regno Unito (probabilmente si provò a farlo passare per un horror) e mai distribuito in Italia, è un film di fantascienza low-budget la cui genesi affonda nei sentimenti pro-ambientalistici di Fonda. La compagnia che doveva occuparsi della distribuzione fallì dopo una settimana di programmazione del film nelle sale, il che tagliò di netto le gambe alle sorti della pellicola. Solo 15 anni dopo, nel 1988, si ebbe quantomeno una pubblicazione su VHS; la sorte non fu molto migliore. Da allora la fama di I.T. vivacchia a stento solo fra pochi appassionati di SF.

Qual è la trama? Allora: in una struttura -finanziata dal governo e presumibilmente top-secret- nell'Idaho meridionale un gruppo di ricercatori, tra cui svariati giovanissimi (tutti under 20), inventa un sistema che permette il teletrasporto di persone tra due macchinari gemelli, uno posto nella struttura e l'altro in una zona all'aperto sempre nell'Idaho del sud. Si accorgeranno ben presto di un interessante side-effect non preventivato: lo spostamento è anche temporale, di 56 anni nel futuro (l'arrivo sarebbe quindi nel 2029). I viaggiatori (che sono tutti giovani perchè -altro side-effect- chi ha più di 20 anni muore poco dopo il viaggio per un'inspiegabile emoraggia renale) fronteggiano così un mondo futuro spopolato e triste, evidentemente modificato da qualche catastrofe imprecisata avvenuta in un momento sconosciuto durante quegli 11 lustri che li separano dalla data di partenza. Nel tentativo di capire cosa sia successo gli scienziati cominciano a raccogliere dati e a studiarli nel presente (perchè il viaggio è possibile anche nell'altro senso).
Tutta questa è in realtà una premessa: di questi fatti non si vede nulla o quasi, ma sono esplicitati nelle prime fasi del film, perlopiù durante un dialogo tra due protagoniste. La storia vera e propria si concentra sulla sedicenne Karen Braden e una dozzina di altri studiosi, di poco più anziani, che si trasferiscono in pianta stabile nel 2029 dopo la decisione improvvisa del governo di chiudere il progetto. Nel desolato pianeta futuro, il manipolo di transfughi si dedica a fare le uniche due cose possibili, ovvero tentare di sopravvivere e cercare superstiti. La vicenda poi prende una brutta piega, ma ne parlerò più avanti.
Grossomodo la storia si può dividere in tre parti:
1. Spiegazione di chi sono e che fanno questi tizi. A svelare tutto è soprattuto Isa, primo personaggio ad apparire sullo schermo, che arruola la sorellina Karen, figura centrale della pellicola, che non vede da lungo tempo. Isa istrusce Karen sul significato e lo scopo della missione, ed è durante i loro dialoghi che scopriamo i principali retroscena dell'esperimento. Questa prima parte termina con la decisione del governo di chiudere tutto e spegnere il macchinario, e con la conseguente fuga nel futuro dei giovani studiosi.
2. La sopravvivenza dei ventenni nel lontano futuro e la loro ricerca di superstiti. E' la parte più lunga e statica del film; la location è il Craters of the Moon National Monument and Preserve, nell'Idaho del sud, e le ambientazioni sono assai suggestive; ma nella monotonia dell'arido paesaggio -seppur affascinante- riecheggia quella delle fasi di esplorazione in cui è bassissima la densità degli accadimenti. Solo una sopravvissuta viene trovata, regredita ad uno stato di idiozia.
3. Si torna a vedere qualcosa nell'ultima parte, che comincia quando Karen decide di lasciare il gruppo di esploratori e di tornare al campo base, dove era rimasto un piccolo manipolo di tre colleghi tra i quali quello di cui è innamorata. Qui viene aggredita da una delle compagne, che è misteriosamente impazzita, ha ucciso gli altri due compagni ed ora è pronta a fare lo stesso con lei. Karen si salva miracolosamente calandosi nel pozzo dove è custodita la macchina del tempo. Questa, in teoria ormai inutile perchè spenta nel presente, è stranamente accesa; Karen, che non ha altre vie d'uscita, entra nel macchinario e torna nel '73. Qui terrorizza un tecnico che stava lavorando (e non viene spiegato perchè) sul marchingegno e la vede apparire dal nulla, poi smanaccia i controlli -dei quali non conosce presumibilmente nulla- per cercare di tornare in un punto del tempo precedente al disastro nel campo base (potendo quindi salvare il suo amore); infine riparte per il futuro dove... ve lo dirò dopo.

Idaho Transfer è strano; gli statunitensi direbbero probabilmente weird. E lo è su più livelli.
Già il cast rappresenta un bell'enigma. E' decisamente piccolo (25 nomi in tutto, mi pare) e composto quasi totalmente, come si è visto, da teenager che devono cercare di passare per studiosi: tra i pochi attori adulti solo uno (il recentemente scomparso Ted D'Arms, qui al debutto) ha un ruolo non troppo marginale, quello di capo del progetto e padre di Karen e Isa Braden. Spicca poi il fatto che oltre a D'Arms solo altri quattro attori abbiano qualche altro titolo nel curriculum: tutti gli altri non si erano mai visti prima e non si vedranno mai più in futuro. Di questi quattro, tre hanno preso parte solo a un altro film oltre I.T. La carriera più dignitosa l'ha avuta uno degli adolescenti, che altri non è che l'allora sconosciuto Keith Carradine, dell'onorata famiglia Carradine (e nella fattispecie fratellastro di David, il Bill di Kill Bill).
Il perchè il film si regga quasi completamente sulle spalle di giovanissimi dilettanti è probabilmente spiegabile con il tentativo di mantenere bassi i costi, ma possibile che Fonda dovesse tenere d'occhio il portafoglio? Mah. Fatto sta che le bizzarrie proseguono.

Le scenografie sono peculiari. Gli esterni, come detto, sono girati nel sud dell'Idaho che è di una bellezza e di una monotonia sconvolgenti: terreno roccioso quasi lunare (soprattutto nella zona del campo base) e sterminate praterie praticamente piatte e vuote. Nella parte centrale del film si contano la bellezza di UNA auto e UN treno (entrambi con un loro macabro segreto) oltre che UNA casa (o forse ricordo male e non c'è nemmeno quella). E questo su vari chilometri quadrati di terreno esplorato. Gli interni sono limitati a un paio di anonimi uffici e all'inquietante stanza che contiene la macchina del tempo, scenografia collocata probabilmente in qualche magazzino abbandonato nella periferia di Boise; la stanza (e i corridoi all'esterno) rendono comunque efficacemente una certa aria di desolazione, soprattutto alla luce della bassa qualità dell'audio e del video del film (a proposito dell'audio: scarso quantitativamente, ma con delle belle idee).

Il finale del film ha spaccato in due la platea: c'è chi lo trova geniale e chi (come me) terribile. Si tratta di spoilerare, ma credo di poter correre il rischio.
Avevamo lasciato Karen mentre tentava di tornare nel futuro. Effettivamente ci ritorna, ma al campo base non c'è traccia di vita. Comincia a girare un po' finchè non si accascia esausta lungo una strada. Dopo poco arriva un'automobile piuttosto futuristica e diventa ormai chiaro che Karen ha impostato il macchinario per mandarla ancora più avanti nel tempo. L'auto si ferma alla sua altezza, ne scende un uomo che la raccoglie e la chiude nel bagagliaio, per poi tornare al volante e ripartire. E si ode Karen prorompere in un urlo lancinante. Chiusura sull'interno dell'auto, dove l'uomo parla con una donna e una bambina di cose che non sono riuscito a capire ma che verterebbero su questioni ambientali.

Il finale è stato apprezzato da non molti, e io rientro nell'altro gruppo. I.T. non è un capolavoro, ma avrebbe senz'altro meritato maggior fortuna e un finale più degno di questo che pare attaccato con lo sputo (finiti i soldi, forse?). Non è chiara la sorte della povera Karen, ma la teoria con più consenso prevede che una ristretta elite di umani tecnologicamente avanzati usi i rari "selvaggi" come carburante per le proprie macchine. Il vero problema di questo finale è che l'atmosfera cozza contro tutto quello che il film ha costruito in precedenza. Guadagna qualche punto comunque per l'inquietantissimo "esto perpetua" (che è anche, ma non solo, il motto dell'Idaho) in fondo ai titoli di coda.

Idaho Transfer è un buon film, consigliabile a chiunque apprezzi le "weirdaggini" e non si lasci spaventare troppo dai film a basso ritmo. Per gli appassionati dei futuri con atmosfere postatomiche (più o meno) questo lavoro dovrebbe essere considerato un cult minore. Le ragazze sono molto carine, valide le scenografie e le musiche. Il recupero non è difficile, dovrebbe persino esserci intero su youtube. Opossum approved, buona visione.

Quattordici, parte 3

Una premessa doverosa: in Quattordici ho voluto l'installazione di due hard disk: un SSD che fa da disco di sistema e un più capiente HD meccanico per i dati

Ora, immaginatevi questa cosa: Windows è il sistema operativo per niubbi, nabbi, utonti, usate pure il termine che volete; Linux è il sistema operativo (lo so, non è un vero OS ma fingiamo per amor di brevità) per espertoni, nerd, geek, hacker. Luoghi comuni a parte, Windows rispetto a Linux è più user-friendly.
Bene.
Su Quattordici ho eseguito tre installazioni di Arch Linux (non sto a spiegare perchè), tutte terminate senza il minimo problema.

Su Windows 7 comincio l'installazione e arrivo alla selezione dell'hard disk. Li vede entrambi senza problemi, cancello le partizioni e i dati da quello SSD (che aveva ancora Arch installato) e... mi becco il messaggio "non si può procedere con l'installazione". Riprovo, idem. Evito l'interfaccia grafica e lancio il setup dal prompt, niente.
Ora, l'hard disk è collegato e funziona (o Arch non si installerebbe e l'installer di Win non lo vedrebbe, e io comunque non ho toccato niente nel case), cazzo di problema c'è? Forse Linux ha "rovinato" qualcosa? Ricostruisco l'MBR, riformatto, ancora nulla. Provo a creare le partizioni NTFS da un installer di Linux (si può fare!) e ancora non viene riconosciuto.

Ne vengo a capo dopo un po' di tempo passato su internet: ebbene, l'SSD è collegato a SATA0, mentre l'HD è collegato a SATA1 (e infatti Arch vedeva correttamente il primo come sda e il secondo come sdb), ma al boot il secondo l'hd era impostato in mdo da precedere il primo, e a Win7 questa cosa non andava giù! E SENZA AVVISARE CHE ERA QUESTO AD INFASTIDIRLO!

Insomma, l'OS difficile si installa senza colpo ferire, l'OS facile fa il puzzone, si mette a frignare e non spiega come procedere :P



Anyway, Win7 installato e ora finalmente Quattordici è operativo. Gnè.

domenica 5 agosto 2012

Quattordici, parte 2

Quattordici ha alcune interessanti feature come 8 giga di RAM e un drive di sistema SSD (chissà quanto durerà...), oltre che un case strambamente traforato come una calza a rete. Nell'ordinarlo, un po' per distrazione e un po' per intenzione, ho dimenticato di acquistare il sistema operativo.
Ora, avevo tre possibilità. Una era quella di continuare a usare XP (che mi andrebbe benissimo, giuro), ma l'unico XP che ho è a 32 bit, il che significa usare meno della metà della RAM che ho pagato (e che intendo usare, pochi cazzi); inoltre XP non riconosce nativamente gli HD sata, e ovviamente gli HD sono sata: dovrei procurarmi i driver che non ho, e piazzarli su dischetti che non potrei usare perchè Quattoridici è il mio primo PC privo di lettori floppy - scelta sofferta, ma nettamente di rottura con un passato con cui ho deciso di chiudere i conti. Modificare il CD di XP per infilarci dentro i driver, scelta possibile ma laboriosa, mi allettava poco e non risolveva il problema dei 32 bit. Comunque la si mettesse, per usare XP occorrevano lavori tediosi di modifiche hardware e/o software per arrivare ad un sistema sottosfruttato.

Così sono passato al piano B e ci ho piazzato Arch Linux per qualche giorno, e devo dire che mi ci sono trovato sostanzialmente bene, a parte casini con i driver video (xf86-video-ati non funzionavano (lo opinioni per questo problema su interenet sono discordanti), e un inquietante problema grafico mi aspettava ad ogni chiusura di X). E a parte anche il fatto che, siccome sono bimbo intelligente, all'inizio ho installato soprappensiero una versione a 32 bit (ergo: ancora RAM dimezzata). La cosa più spettacolare è stata usare finalmente Awesome su un monitor 24" (giuro, mi sono quasi messo a piangere), seguita a breve distanza dal filtro aa di Mplayer sparato fluido a tutto schermo.
Purtroppo su Linux non mi posso fermare, complice la mancanza di due programmi di cui non posso fare a meno (Excel e Photoshop), ergo il destino di Arch era segnato sin dall'inizio. Dopo qualche giorno di linuxità ho finalmente potuto mettere mano a un CD di Win7 64 bit, e prepararmi a tornare sotto la crudele mamma MS.
Ma non era ancora finita.


PS: dopo l'arrivo di Quattordici il povero Cinque, vedendosi ormai sostituito e prossimo alla sepoltura, si è vendicato cercando di tranciarmi un dito mente lo smontavo. Mi raccomando, siate cortesi coi vostri computer, sempre. Perchè loro capiscono.

sabato 4 agosto 2012

Quattordici, parte 1

E' arrivato Quattordici. E che significa?

In principio era Uno. Uno fu il mio primo computer, lo ebbi nel 1997. Il suo arrivo fu rocambolesco: a mia sorella, all'epoca ventenne, occorreva un computer con stampante per stendere le tesine dell'università; mio padre, da sempre assolutamente contrario all'acquisto di un PC, fu costretto a capitolare. Per spendere il meno possibile si accontentò di un ferrovecchio recuperato tramite conoscenze lavorative: un IBM PS/2 del 1989 con monitor 14" in bianco e nero, IBM DOS 3.qualcosa, CPU 286, un mega di RAM. L'audio era unicamente quello dello speaker, l'hard disk disponeva di 58 megabyte. Siccome mia sorella doveva pure stamparle le tesine, il tutto fu accompagnato da una stampante ad aghi B/N rumorosa come una sala giochi e grossa come una cadillac, con cartucce d'inchiostro a nastro (stile macchina da scrivere) ormai da tempo di difficile reperibilità (col senno di poi, questo non si rivelò un grave handicap). Questo era 01, il computer che usavo io quando il resto del mondo procedeva serrato verso i Pentium.
Uno mi servì fedelmente per due anni, garantendomi un sacco di divertimento con MS Editor e soprattutto col Qbasic, poi andò in pensione. Il monitor morì negli anni '00, Uno invece -ancora funzionante- è stato definitivamente trasferito in discarica nello scorso luglio.

Nel 1999 arrivò Due. Passo in avanti? Non proprio. 02 veniva da una discarica, da dove era stato recuperato dal cugino di mio cugino. Era un 486 con Win 3.11, HD di 34 MB (!), non ricordo quanta RAM e un monitor da 15" finalmente a colori. La vita di 02 fubreve e sfortunata, e terminò dopo pochi mesi quando un temporale ne distrusse l'alimentatore (che emise due sonori BOOM durante l'ultimo tentativo di accensione. Tentativo che non andò a buon fine).

La dipartita di Due lasciò finalmente spazio a Tre, il mio primo vero picchio. Tre per la prima volta non era materiale di recupero (almeno sulla carta), ma un PC nuovo; purtroppo proveniva da Computer Discount e la qualità generale lasciava parecchio a desiderare. Tuttavia il procio era un K7 a 650 MHz, l'hard disk sfiorava i 20 giga, la RAMMA (cit.) ammontava a 64 mega (sarebbero un giorno triplicati), finalmente apparivano meraviglie tecnologiche come il lettore CD e schede audio e video. Era ormai il 2000. Tre avrebbe tirato la baracca tra alti e bassi fino al tardo 2005, quando l'hard disk prometteva di morire da un giorno all'altro e Windows 98 ormai non bastava più.

Sarebbe quindi arrivato 05: procio AMD 3500+, 2 giga di RAM, due HD da 80 GB ciascuno, varie ed eventuali. 05 è durato per quasi sette anni, fino ad oggi. Nel corso del 2012 è diventato chiarissimo che anche per lui era ora del meritato riposo, e così ho dovuto metter mano al portafoglio. Ed ecco 14, ovvero Quattordici, che dir si voglia...

PS: il progetto era quello di passare Cinque a muletto, sostituendo Undici (il muletto attuale). In un tentativo di espansione della RAM, però, la motherboard di Cinque ha deciso di smettere di funzionare senza possibilità di recupero. Cinque ha così raggiunto la discarica come tutti i suoi precedenti fratelli. Riposi in pace

Deleted scenes


La collina era il punto più alto del paese. Digradava dolcemente (ma non troppo dolcemente, in effetti) verso la periferia del piccolo centro abitato, distante qualche centinaio di metri, dove erano accalcate alcune palazzine di pochi piani: condomini per piccoli borghesi e grandi proletari, nè brutti nè belli, con le pareti che stingevano al sole mediterraneo anno dopo anno.
Sul fianco del colle due ragazzi di circa tredici anni si crogiolavano al sole del luglio inoltrato, seduti sull’erba, e si passavano a turno un binocolo che puntavano verso una ben precisa palazzina, una ben precisa finestra aperta. Una ragazza dall’età sconosciuta ma apparentemente diciassettenne dormiva su un letto, perfettamente inquadrata nella cornice della finestra, quasi un quadro del Goya dal vero. Ed era una ragazza veramente carina. Ed era seminuda.
La posizione e l’intensità del sole non permettevano una visuale granchè chiara dell’interno giorno, ma per due adolescenti in tempesta ormonale poteva andare bene anche così. I due voyeur in erba proseguirono a scambiarsi oculari e commenti per parecchi minuti.
- Ehi, che direbbe tua sorella se sapesse che le fai questo?
Era stato uno dei due ragazzi a parlare. Non si era rivolto al suo compare, ma a un terzo figuro che era rimasto sdraiato in silenzio, qualche metro dietro di loro, per tutto quel tempo. Era il fratello della bella addormentata, un ragazzo di quindici anni dall’aspetto trasandato e l’aria svogliata. Ascoltò la domanda come se l’avesse già sentita mille volte, e cominciò a rispondere stringendo le spalle.
- Fatti suoi. Se ci pensasse un attimo si renderebbe conto che cani e porci la possono spiare.
- Ma tanto di qua non potrebbe salire nessuno.
- Come no. Intanto noi ci siamo venuti.
- Sì, ma se ci scoprono ci fanno un culo così. – interloquì il secondo guardone.
Era vero. La collina e il territorio retrostante erano proprietà privata. Per quanto i proprietari restassero più entità leggendarie che figure concrete, data la scarsa frequenza con cui solevano farsi vedere, il terreno era recintato. I tre invasori erano penetrati sfruttando il più classico degli stratagemmi: un provvidenziale buco nella recinzione.
- Mi sa che non corre mica tanti rischi. E comunque non hai risposto: se ti scopre che ti fa?
Altra stretta di spalle – Non ho paura di lei.
- Mi sa che fai male. E’ più grande di te e secondo me ti mena senza problemi. Mi hanno detto che è un tipo che picchia.
I due guardoni risero. Il terzo si sentì punto sul vivo, ma sapeva che le ultime due affermazioni erano vere e non poteva farci nulla. L’irritazione lo fece reagire nel modo più istintivo possibile: si tirò in piedi e dichiarò chiusa la seduta di osservazione. I due protestarono, ma l’altro fu irremovibile.
- Trenta minuti. E sono passati. Sganciate e tagliamo la corda.



Mezz’ora, cinque euro a cranio: la tariffa per godere della visione di una ragazzina dalle tendenze ninfomani, che senza ritegno dormiva quasi nuda nel suo letto. Non aveva mai creduto che potesse essere un business valido, ma ben presto si era accorto che era merce piuttosto vendibile. La sorella suscitava un certo fascino (a ragione, doveva ammetterlo), ingigantito dal brivido della spiata proibita, e soprattutto tra i ragazzini più ricchi c’era sempre chi poteva e voleva spendere qualche soldo per afferrare l’illusione di vedersela concessa. Era una strana, embrionale forma di prostituzione.
Ora, da solo, mentre le ombre di fuori già si allungavano, risalì le scale ed entrò in casa. Si infilò poi nella stanza di lei e chiuse la porta, appoggiandovi le spalle e guardando verso terra.
- Quanto hai fatto?
Aveva anche una voce suadente, maledetta.
- Dieci euro.
- Certo che come ruffiano vali pochino, eh?
A volte arrivavano commenti del genere, e lui reagiva sempre con la sua stretta di spalle standard. Ma oggi era nervoso e non gli andava di subire.
- Non è mica sempre un lavoro facile. Te te ne devi stare solo lì sdraiata a farti guardare. Ma per me è più difficile. E tu ti prendi anche più soldi.
- Oh, il lumpenproletarier alza la testa! – lei si alzò a sedere e lo fissò (lui aveva ancora gli occhi sul pavimento) – Povero piccolo. Ricorda che l’idea è stata mia, e il gioco lo dirigo io. Se non ti va puoi metterti in proprio. Quanto pagherebbero i ragazzi per vedere te nudo?
Il discorso di lei e il suo tono canzonatorio, decise lui, erano andati troppo in là. Alzò finalmente lo sguardo.
- Senti, vaffanculo. Non mi piace più questa storia. Non mi è mai piaciuta. Trova un altro scemo come socio.
Lei non sembrava troppo impressionata dalla inedita rabbia del fratello. Rispose con sufficienza – Ti fai troppi scrupoli.
- Non è questo!
- E allora cos’è?
Già, cos’era. Non se ne rendeva bene conto, ma l’idea gli si chiarì d’un tratto. La esalò con un filo di voce.
- Voglio solo un po’ di rispetto.
Lei sorrise e si ributtò supina.
- Mio fratello che pretende rispetto. E sembra quasi dimostrare carattere. Una cosa nuova. Mi piace. Mi eccita. Dì un po’ fratellino… quanto ce l’hai grosso?
La domanda lo scioccò. Ma non quanto il rendersi conto che in fondo sperava da tempo in una richiesta del genere. Prima ancora di riaversi, si accorse di essersi istintivamente tolto i pantaloni, e che era a pochi istanti dal vendere l’anima a sua sorella.