sabato 7 novembre 2009

L'angolo del retrogaming bislacco e malsano: Super Mario Bros special

In quanto serie longeva, gradita e fruttifera, la saga dell'idraulico Mario possiede un albero genealogico lungo e complesso, che ramifica in tutte le piattaforme Nintendo e svariate altre di altre Case. Già a poca distanza dalle radici il vegetale dinastico comincia a prendere pieghe bizzarre, essendo almeno tre gli immediati successori del leggendario Super Mario Bros del 1985. Gli SMB che si fregiano del "2" sono infatti altrettanti: riassumendo per i poco informati, a noi occidentali venne propinato come SMB2 l'adattamento marioso di tal Doki Doki panic (senza più blocchi da prendere a testate e goomba da spiaccicare), mentre il seguito "vero" -decisamente aderente agli stilemi del primo- uscì solo in Cipango e rimase ignoto alla maggioranza degli europamericani fino a che non fu recuperato su SNES in Super Mario All-Star, col nome di SM Lost Levels.
E il terzo successore? Si tratta ovviamente -come già spoilerato nel titolo del post- di Super Mario Bros special, che nonostante sia l'unico dei tre a non avere il "2" nel titolo è probabilmente il reale successore di SMB 1 almeno da un punto di vista cronologico (dico "probabilmente" perchè non trovo notizie certe e non ho voglia di googlare (lo so, non sono molto professionale (e me ne vanto))). Nelle intenzioni, invece, non si tratta di un sequel in senso stretto: è più una variazione sul tema del primo titolo.
Scritto dalla Hudson Soft su licenza Nintendo (e non dalla grande N stessa, sorprendentemente), praticamente sconosciuto in occidente, SMBS andò a finire sul PC-8801 e sull'X1, due computer prodotti rispettivamente da NEC e Sharp e mai usciti dal Giappone; in pratica quel genere di aggeggi per un esemplare dei quali baratterei volentieri buona parte del mio parentado. Dovendo lavorare con hardware più problematico di quello del NES, i programmatori della Hudson scesero a compromessi tali da snaturare il Mario originale: è probabilmente questo il motivo per cui si scelse di non fare un porting fedele del gioco di Miyamoto. SMB Special in verità sciocca ogni utente avvezzo alle classiche meccaniche mariose. Gli sprite sono di fatto uguali a quelli ben noti, ma il titolo ha un aspetto quantomeno lisergico, dominato da gialli, rossi e blu soprassaturi e del tutto privo di bianchi e verdi, che mette a dura prova le retine di chiunque (coadiuvato in questo da non sporadici sfarfallii), e la ben nota melodia viene riprodotta abbastanza alla qazzo di qane, un po' gracchiante e un po' saltellante. Quanto al sistema di gioco, la novità più evidente è che scompare lo scrolling: e qui son cazzi. Scartata infatti la decisione di mantenere un schermo scorrevole come nel capostipite -suppongo per difficoltà tecniche-, gli autori di SMBS optarono per una suddivisione dei livelli per quadri statici; una scelta che influisce non poco sul gameplay, dato che sadicamente non sono certo pochi i salti che ci si trova a dover fare "al buio", senza poter vedere dove atterreremo perchè la piattaforma che ci attende si trova nella schermata successiva e la sua posizione è ignota fino all'ultimo. Ad aggravare il tutto ci si mette una fisica agghiacciante che rende faticoso gestire i movimenti di Mario, sia a terra sia soprattutto in aria. In conseguenza di tutto ciò la difficoltà del gioco è estrema, e proseguire diventa un esercizio basato sostanzialmente su prove ed errori. Finezza ulteriore, la brodaglia viene allungata dal fatto che ad ogni morte tocca ricominciare dal principio del livello.
Non ci sono altre modifiche evidenti, se non che tutti i livelli sono stati ridisegnati rispetto al primo Mario, rendendo così peraltro impossibile usare l'esperienza guadagnata giocandoci in questo strambo sequel. Onestamente, nonostante i miei termini poco generosi SMBS è un gioco in realtà affascinante, che richiede però quantitativi non comuni di pazienza e abilità manuale per essere goduto appieno. Per me, che sono fondamentalmente un cialtrone del videogaming, sono state necessarie tre ore per adattarmi alla sbilenca coordinazione dei movimenti di Mario ed arrivare alla fine (dopo infiniti trial&error) a vedere addirittura il SECONDO livello. A quel punto ho preferito chiudere l'esperienza, per esaurimento nervoso (e anche perchè gli esuberanti cromatismi mi stavano bruciando le cornee). Consiglio comunque a tutti di dargli un'occhiata.

mercoledì 4 novembre 2009

L'angolo del retrogaming bislacco e malsano: Lee Enfield in the tournament of death

- Pubblicato nel 198.. uh...
- Cominciamo bene.
- Un lapsus. Capita. Ecco qui: 1988. Pubblicato nel 1988 per Commodore 64, Amstrad CPC464 ed Atari ST, Lee Enfield irrompe nel mercato dell'intrattenimento elettronico, provocando inusitate esaltazioni.
- Davvero?
- No. Allora, intanto va detto che la responsabilità di questo crimine contro i videogiocatori è della Infogrames.
- Quella dell'armadillo epilettico!
- Se vuoi vederla così, sì. Lee Enfield in the tournament of death è stato programmato in due versioni: una localizzata per la Francia, e una per la non-Francia. Quella francese ha un altro nome: Bob Morane chevalerie. Ora, ricostruire decentemente la storia di tale prodotto, dimenticato -giustamente- da Dio e dagli uomini, non è facile. La mia supposizione è che, essendo la Infocosa francese, Bob Morane sia il nome originale, e Lee Loffio una riedizione per l'estero, dove il personaggio di Morane (famoso avventuriero della letteratura francese, a quanto pare) è assai di striscio cagato.
- Interessante.
- Ma proprio per nulla.
- Vero. E devo dire che, cercando Lee Enfield su Google, saltano fuori un sacco di foto di fucili.
- Emblematico, non trovi? C'è da dire che Bob Morane chevalerie esiste per CPC (e Atari ST, per il quale invece parrebbe mancare Lee Enfield), MA NON per C64. Per quest'ultimo c'è invece un'ulteriore localizzazione tedesca, Bob Moran rittertum. Assai incomprensibile. Comunque, il gioco è sempre la stessa menata.
- Proprio identica? Non cambia nemmeno un pixel?
- Cambiano tre cose: il titolo, l'intro (un'orrida schermata fissa per BM, niente del tutto per LE) e la scritta che campeggia in alto durante il gioco e che ne riporta il nome, casomai rischiassimo di dimenticarcelo. Elegante.
- Ma il gioco in se com'è? Perchè blateri da mezz'ora, ma io non l'ho ancora capito.
- Se ti può consolare, nemmeno io che l'ho provato. Innanzitutto l'area di gioco copre nientemeno che il 29,1% dello schermo (sì, ho calcolato l'area, e allora? Vuoi farmi causa? Ciupa). Nel 70,9% restante (voglio dire, PIU' DI DUE TERZI DELLO SCHERMO BUTTATI, santoddio!) campeggiano -statici- il nome del gioco, parte del volto di una specie di mostro viola che non si capisce che sia, sarà forse il nemico finale, non so, e il volto del nostro eroe: espressivo come solo Steven Seagal che cerca di imitare Kimi Raikkonen col metodo Stanislavskij, e inguainato in un'armatura azzurrina che persino nella pixellosa ottobittità appare finta come fosse fatta con stagnola Kinder 5 Cereali.
- Ho un'erezione. Continua.
- Tutto ciò è già brutto su C64. Su CPC i colori diventano ancora meno reali, simili a un quadro fauves spento -non so, rendo l'idea?-, con Loffio che ha una specie di varicella squadrata talmente contagiosa da infettare l'armatura. Su ST, stante le maggiori capacità del 16-bit atariano, la situzione non può che...?
- ...migliorare?
- Bravo, credici agli UFO. Ecco forse Morane è disegnato un pelo meglio, il che riesce però solo a intristire ulteriormente il tutto (vedere per credere). La colorazione compete comunque con la versione Amstrad. Per quanto riguarda lo schermino di gioco, peggio che andar di notte: tutto sembra fatto col lego, con una colorazione che si poteva trasportare direttamente su Spectrum senza problemi. Solo per approssimazione riusciamo a renderci conto che l'ambientazione è l'interno di un castello. Enfield è una chiazza viola seghettata che nulla ha di similare al fesso che resta disegnato sul lato dello schermo; i nemici sono altre chiazze seghettate, e grazie tante che almeno sono colorate in modo diverso.
- Immagino che delle musiche non si sia occupato Hubbard.
- L'unico nominativo collegato al gioco che ho trovato (grafici e programmatori sono saggiamente scomparsi nel nulla) è quello del musicista, tale Georg Brandt. Qualche lavoro all'attivo ce l'ha, personalmente l'avevo già sentito nominare per BEAM.
- BEAM lo conosco anch'io. La musica è bella.
- Mah, carina. Comunque lui di BEAM ha scritto la versione 64, mentre Carsten Neubauer quella ST e Thomas Hermann quella Amiga. Arrangiamenti a parte, la melodia è la stessa, quindi chi è il vero autore? E' farina del sacco di Brandt? Mmh.
- Ma quanto sei stronzo. Riconoscigli almeno che tecnicamente la musica è venuta discretamente (soprattutto se l'ha riscritta downgradando la versione Amiga).
- Lo riconosco, e nulla più. Comunque dirò un'eresia: anche la musichetta di BM/LE (ovviamente è la stessa per entrambi) è carina. Per 20 secondi. Poi inizia il loop.
- Ma veniamo al piatto forte, suppongo.
- Intendi il gioco in sè? Ebbene, ho provato sia LE che BM, sia per biscottone che per CPC (la versione ST l'ho evitata). I due LE sono ingiocabili nel senso stretto del termine: su CPC non parte; su C64 la chiazza violacea si muove solo con forte ritardo, in modo incongruo rispetto ai comandi impartiti, e non appena si muove comincia a perdere energia senza motivo e senza che si possa fermare la cosa. Nel giro di un minuto dall'inizio del gioco sono morto, senza sapere perchè. A quel punto tutto si blocca e se voglio rigiocare (MWAHAHAHAHHA!) devo riavviare il biscottone. Molto gratificante.
- Immagino.
- Forse sono stato sfortunato con le versioni. Ma la cosa scioccante è che in realtà tutti questi bug non compromettono significativamente l'esperienza ludica. Ce ne possiamo rendere conto giocando a Bob Moran[e], che invece purtroppo "funziona".
- Tra virgolette.
- Chiaro. Lo sprite violaceo schizza di qua e di là in modo poco controllabile, ogni tanto appaiono nemici a caso (soprattutto cosi bianchi che a naso dovrebbero essere orsi polari. In un castello. Certo).
- Beh, niente vieta di costruire un castello a Nuuk.
- Bah, hai ragione, del resto si è visto di peggio in Weird Dreams. I nemici comunque si dovrebbero abbattere a pugni premendo il tasto di fuoco. Io non ce l'ho fatta, i cazzotti vanno a vuoto. Ho fatto una manciata di tentativi, e non sono mai riuscito a uscire dalla prima stanza o anche solo a colpire un nemico, nè su C64 nè su CPC. Sono affranto e penso che non riprenderò mai più in mano un videogioco.
- Insomma, un'esperienza stimolante.
- Tipo le prugne.

(Nota: questo abominio è stato pubblicato in un'ulteriore versione per un computer che non conosco, il Thomson TO 8. Non esiste invece la versione PC, nonostante lo sostenga la recensione dello Zzap! italiano dell'epoca: è solo un errore di traduzione, la versione recensita è banalmente quella C64).

martedì 3 novembre 2009

L'angolo del retrogaming bislacco e malsano: Desert Bus

Penn e Teller sono due illusionisti statunitensi di cui personalmente so ben poco, se non che paiono godere di ampio consenso nelle aree atee e scettiche (in pratica due esponenti del CICAP). Molto noti in USA, molto meno da noi: qualcuno (tra cui io) li ricorderà soprattutto per un'apparizione nei Simpson (nella puntata dell'11a stagione "Hello Gutter, Hello Fadder", quella della partita perfetta di Homer al bowling -peraltro una delle non frequenti occasioni in cui si può sentire Teller parlare) e una in Futurama (dove commentano la partita di poker a cui prendono parte Fry e Bender nel film finale Nell'immenso verde profondo).
Nel 1995 il duo collaborò con la Absolute Entertainment per scrivere una serie di videogiochi per Sega Mega CD: alla fine ne vennero creati sei e raggruppati nella raccolta "Penn & Teller's Smoke and Mirrors". Sfiga vuole che la Absolute fallisse prima di pubblicarla, cosicchè i sei giochi sono rimasti inediti per anni; qualche anno fa tuttavia Smoke & Mirrors è venuto alla luce, e sebbene il Mega CD sia ormai morto (ma sarà poi mai stato realmente vivo?) il miracolo dell'emulazione può permettere a tutti di godersi questa robaccia.
Desert Bus è probabilmente il titolo più famoso tra i sei. Trattasi, almeno nelle intenzioni, del più realistico simulatore di guida mai creato: nei panni di un pulmiere* (scusate, volevo dire di un pulminista*) sarà nostro compito guidare un autobus nel torrido deserto dell'Arizona da Tucson, AZ fino a Las Vegas, NV. Lo scenario di gioco è un unico immenso deserto interrotto dalla strada che percorriamo e sporadici cactus . L'automezzo non può superare le 45 miglia orarie (circa 72 km/h) per coprire le circa 400 miglia (650 km) che distanziano le due città, il che richiede approssimativamente 8 ore di gioco. Non è possibile mettere in pausa, e che non vi venga in mente di mettere lo scotch sul pad per andare al mare mentre il gioco va da solo: il bus sterza leggermente verso destra, quindi la traettoria va periodicamente corretta.
Insomma, un bel videogioco scassaballe. La grafica non è malaccio (che tanto poi non c'è un cazzo da mostrare), l'audio non c'è, i controlli sono facilissimi da padroneggiare. La longevità c'è, in fondo sono almeno 8 ore di gioco, ed è anche possibile farsi il viaggio di ritorno (di notte); è sul fattore rigiocabilità che non metterei la mano sul fuoco. L'aspetto simulativo è però scadente: innanzitutto il modello di guida del mezzo è poco convincente, dal momento che lo spostamento a destra e a sinistra sembra più simile ad uno strafe di FPSiana memoria che non un vero e proprio sterzare (tant'è che se provate a girarvi non tornate verso Tucson, ma finite nella sabbia perfettamente paralleli alla strada) (ah, ovviamente se finite nella strada è game over). Poi il pullman è vuoto (si vede nello specchietto retrovisore), quindi il viaggio che motivazione ha? Perchè non ci sono altre auto sulla strada? Perchè tenendo premuto il tasto acceleratore il bus non aumenta continuamente di velocità ma si ferma a 45 mph? Perchè il conducente non ha mai bisogno di pisciare? La vita è un sogno o i sogni aiutano a?
La risposta è a.
E lascerò questa recensione priva di un vero finale. Il gioco non lo merita.


* (errori deliberati in ricordo di una conversazione quasi etilica durante una splendida gita scolastica a Barcellona, 1998. I due neologismi, degni di un Gadda o quantomeno un Benni, dovrebbero ancora trovarsi eternati a inchiostro in un comodino di un albergo catalano, sempre che i tarli non lo abbiano corroso (ma ne dubito, quell'albergo era orrendo anche per gli standard di un tarlo)).